Le emozioni: arma a doppio taglio

L’altra sera camminavo, malino perché ero già in off pieno (fine effetto delle medicine), in una strada di periferia. Non c’era praticamente nessuno in giro, silenzio totale fatta eccezione per alcuni ragazzi fuori da un bar dall’altra parte della strada.

Quando sono passato davanti a loro hanno smesso di parlare, non mi sono girato, ho fatto faticosamente altri pochi metri e sentivo le gambe più rigide.
Poi qualcuno ha detto qualcosa in dialetto e tutti hanno riso di gusto. Le mie gambe sono diventate di pietra e per arrivare, dovevo fare solo 150 mt, ci ho messo mezz’ora.
Sono arrivato sfinito, sudato fradicio, ansimante.

Elementi di riflessione:

1) I sintomi sono molto legati alla sfera emotiva e nessuno a scuola ci ha mai spiegato cosa sono le emozioni, come si gestiscono, come si leggono le nostre e quelle degli altri, ma specialmente come si navigano.
Non pensate di poterle gestire, perché non si può fare. Sarebbe ancora più funzionale capire quanto le emozioni siano contagiose. Per questo ho pensato di inserire tra i contenuti del sito dell’associazione, una sezione intera dedicata all’Intelligenza Emotiva per la quale, sono sicuro, l’amica Veru Gennari sarà una fonte preziosa e ricca di info e spunti;

2) Per un parky uscire di casa è un gesto epico: una barriera architettonica, una macchina parcheggiata sul marciapiedi, quattro deficienti che fanno una battuta, possono inchiodarti. E quando esci lo sai.
Quindi mi rivolgo ai caregivers: pensate a questo, questo non significa che dovete trattarci come bambini ed accompagnarci per mano, sarebbe forse peggio, ma rispettate le nostre remore e metteteci nella condizione di affrontarle al meglio;

3) Per un caregiver vedere uscire di casa il proprio caro è una fonte di ansia. Ce la farà? Si ricorderà di prendere le medicine? E se si blocca? Se casca? Se qualcuno lo schernisce? Quindi mi rivolgo ai parky: a volte ci sembra che i nostri caregivers siano dei gran rompipalle! Magari lo sono, ma quando chiediamo loro di mettersi nei nostri panni facciamolo anche noi a nostra volta;

4) In merito a come gli altri ci vedono, ci giudicano, ci insultano, anche solo con uno sguardo di pena, invito tutti a prendere visione di questo video che mi ha passato Elisa Rovelli. Come dice lei: “torniamo umani, comunichiamo come forse non abbiamo mai fatto”, magari concedendoci di guardare le cose con gli occhi di un bambino.

Voi cosa ne pensate?

 

Giulio Maldacea